
Ci troviamo ancora una volta a fare il punto sulla normativa in materia edilizia, dopo le quasi contemporanee modifiche operate dai due “decreti Madia” e dalla sentenza della Corte Costituzionale sulla Legge Regionale n. 17/2015.
Questi provvedimenti hanno interessato le disposizioni legislative e regolamentari, sia a livello statale che regionale, disegnando di fatto un nuovo quadro normativo. A distanza di qualche mese, dopo aver fatto sedimentare alcuni dubbi e perplessità, proviamo a fare una riflessione e ad ipotizzare modalità di applicazione delle nuove regole.
Nel lontano 2001 si pensava (o meglio, si sperava) di aver definitivamente risolto la questione con il Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia Edilizia (TUE), emanato con il DPR n. 380 del 6 giugno, entrato in vigore nel 2003. Così evidentemente non è stato se in questi oltre 15 anni la materia è stata continuamente rivista, sia sotto il profilo procedurale che sostanziale. Basti pensare, solo per citarne alcune, alle problematiche della ristrutturazione edilizia, della variazione di destinazione d’uso, dell’attività edilizia libera, dell’agibilità, della DIA poi SCIA (ordinaria e alternativa al permesso di costruire).
Oltre alle tante sentenze dei tribunali sulle più svariate questioni edilizie, in questi anni abbiamo assistito a una spinta del legislatore verso una sempre più marcata garanzia per il cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione e alla non sempre felice collocazione di norme di carattere edilizio in provvedimenti legislativi di tutt’altro tenore, come ad esempio le leggi finanziarie. Per non parlare poi dell’aspetto destabilizzante costituito dalla complessa questione della potestà legislativa concorrente delle regioni “…nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico”. Dove finisce il corretto esercizio da parte della regione della potestà legislativa concorrente e quando invece l’esercizio di questo potere sconfina nella illegittimità costituzionale? E come si deve regolare l’utente nel dubbio e fino alla pronuncia della Corte?
E’ il caso della Legge Regionale n. 17 del 20 aprile 2015 dal bel titolo “Riordino e semplificazione della normativa regionale in materia edilizia”. Quale migliore obiettivo di riordinare e semplificare? Peccato che, dopo un anno e mezzo, parte di questa legge è stata cancellata con una sentenza della Corte Costituzionale. E’ stata sanzionata l’attività edilizia libera, l’autorizzazione temporanea e il miglioramento sismico. Si sposta continuamente il confine fra ciò che si può fare liberamente e ciò che invece deve essere autorizzato e questo non aiuta a fare chiarezza, determinando nei fatti periodi temporali ognuno con un suo regime amministrativo.
Veniamo alle modifiche introdotte dai decreti “Madia” e precisamente dai Decreti Legislativi n. 126 e 222 del 2016, emanati in attuazione della La legge 124/2015 che ha conferito al Governo la delega per l’individuazione dei procedimenti oggetto di segnalazione, di autorizzazione espressa e di semplice comunicazione preventiva. Quindi parliamo di SCIA (Segnalazione Certificata Inizio Attività), Permesso di Costruire (autorizzazione espressa) e CILA (Comunicazione Inizio Lavori Asseverata). Intanto si è fatta chiarezza sui titoli abilitativi edilizi… non è poco!
A livello di pratiche edilizie le principali innovazioni del Decreto 126 consistono nell’obbligo di moduli unificati e standardizzati (art. 2) e nell’obbligo per la Pubblica Amministrazione di rilasciare immediatamente una ricevuta dell’avvenuta presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni (art. 3).
Il Decreto 222 contiene la tabella A, dove si è operata una ricognizione delle varie attività con i corrispondenti regimi amministrativi, ed introduce importanti modifiche al TUE che consistono nella eliminazione del parere igienico-sanitario e del certificato di agibilità e nella rimodulazione di alcuni articoli. Ma vediamole nel dettaglio:
– l’art. 6 è stato sdoppiato nel 6 e 6-bis. Il nuovo articolo 6 fornisce un elenco di interventi che possono essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo edilizio e al comma 6 si dà facoltà alle regioni di estendere l’elenco. Resta il solo caso delle opere temporanee con obbligo di comunicazione (non asseverata). L’art. 6 bis, relativo alle opere soggette a CILA, ha un campo di applicazione residuale rispetto al permesso e alla SCIA. Anche qui si dà facoltà alle regioni di estenderne il campo di applicazione;
– l’art. 22 ora elenca gli interventi subordinati a SCIA, che risulta disciplinata dall’art. 19 della Legge 241/90. Anche in questo caso si dà facoltà alle regioni di estenderne il campo di applicazione;
– l’art. 23, precedentemente relativo alla disciplina della SCIA, ora si occupa della SCIA alternativa al Permesso di costruire. Da precisare che questo provvedimento abilitativo, pur essendo una segnalazione certificata del professionista privato, assume tutte le caratteristiche del permesso di costruire, comprese quelle sanzionatorie;
– l’art. 24 sostituisce il certificato di agibilità con una Segnalazione Certificata di Agibilità (SCA) presentata dal titolare del Permesso o della SCIA, con una attestazione del Direttore dei Lavori;
– l’art. 25, relativo al procedimento per il rilascio del certificato di agibilità, è stato conseguentemente abrogato;
– l’art. 67 è stato integrato con il comma 8-bis, dove si stabilisce, per gli interventi locali sulle strutture, la sostituzione del certificato di collaudo con una dichiarazione di regolare esecuzione del direttore dei lavori.
Come abbiamo visto si concede più volte alle regioni un potere che poi nei fatti viene spesso sanzionato dalla Corte Costituzionale. Questa incertezza non aiuta, anche perché incide sostanzialmente sulla gestione della cd. edilizia minore, che minore non è, sia nella complessità delle questioni da affrontare che nella quantità, visto che oltre il 90% delle pratiche edilizie presentate ai Comuni è costituito da segnalazioni e comunicazioni certificate da tecnici privati.
Con la eliminazione del parere igienico-sanitario, finora espresso dall’ASUR, si demandano completamente al progettista ed al tecnico comunale le relative valutazioni, in attesa che il Ministro della Salute adotti il decreto previsto dal nuovo comma 1-bis dell’art. 20 del TUE sui requisiti igienico-sanitari di carattere prestazionale degli edifici. Il legislatore si era dato 90 giorni di tempo, termine già scaduto. Inutile rimarcare l’importanza di avere a disposizione in tempi brevi le nuove regole, visto che gran parte di quelle in vigore risalgono al lontano 1975!
La eliminazione del certificato di agibilità introduce una particolare Segnalazione Certificata, questa volta non di Inizio, ma di Fine Attività, per cui bisognerà coniare un nuovo acronimo, forse SCA (Segnalazione Certificata Agibilità). Nella sostanza cambia solo il tipo di provvedimento, passato da un certificato rilasciato dal Comune ad una autocertificazione del privato. Dato per scontato che le nuove costruzioni e le ricostruzioni siano soggette ad agibilità, si continua a non fare chiarezza per quali interventi sugli edifici esistenti sia obbligatoria una nuova dichiarazione, visto che l’art. 24 del TUE la richiede per lavori che possono incidere su sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico ed impianti. Siccome si sanziona la mancata presentazione della SCA quando dovuta, è necessario stabilirlo con chiarezza perché il cittadino non può essere sanzionato sulla base di una regola incerta nell’applicazione pratica. Una ipotesi potrebbe essere quella di seguire lo schema del TUE così come delineato dopo le recenti modifiche di cui stiamo parlando. L’art. 24 stabilisce che il soggetto titolare del permesso e/o quello che ha presentato la SCIA, entro 15 giorni dalla fine dei lavori, devono presentare la SCA e la mancata presentazione comporta l’applicazione di una sanzione. Siccome negli articoli 10, 22 e 23 si elencano gli interventi assoggettati a permesso e SCIA, si potrebbero utilizzare questi elenchi per stabilire quando è obbligatoria una nuova agibilità, fermo restando che non è precluso presentare la SCA anche in altri interventi. Sarà forse una semplificazione eccessiva, ma in attesa di auspicabili chiarimenti potrebbe essere una strada percorribile e la base per l’adozione di uno specifico regolamento, meglio se condiviso fra tutti i Comuni di un ambito territoriale.
Tutta questa impalcatura deve essere valutata di volta in volta con “quel che resta” della legge regionale in materia edilizia (la 17/2015), dopo che la Corte Costituzionale con una sentenza del novembre 2016 ne ha cancellato delle parti. Sono state ritenute illegittime alcune disposizioni dell’art. 4 sull’attività edilizia libera, la parte dell’art. 6 dove si ampliava il campo di applicazione della SCIA, l’art. 9 dove si introduceva l’autorizzazione temporanea e l’art. 12 relativo ad alcune deroghe per il miglioramento sismico degli edifici. Siccome le sentenze della Corte non hanno valore retroattivo, nel periodo di vigenza delle norme cassate, dal maggio 2015 al dicembre 2016, alcune opere sono state effettuate legittimamente in assenza di un titolo abilitativo, divenuto poi nuovamente necessario. Da tenere in considerazione la cronologia dei provvedimenti: la sentenza della Corte è di novembre 2016 (pubblicata a dicembre) mentre l’ultima modifica al TUE operata dal decreto “Madia 2” è di dicembre, quindi viene il dubbio che il quadro normativo di rango statale utilizzato per giudicare la legge regionale sia nuovamente cambiato da lì a pochi giorni.
Alcune riflessioni sulla ristrutturazione edilizia e sulla variazione di destinazione d’uso.
La ristrutturazione edilizia, la cui definizione è in continua evoluzione dall’art. 31 della legge 457 del lontano 1978 fino ai giorni nostri, passando da un intervento di recupero (senza demolizione) alla ricostruzione di edifici crollati o demoliti (quanti anni fa?), perdendo nel corso degli anni il vincolo di mantenimento di sagoma (fatta eccezione per gli immobili vincolati) e dell’area di sedime. Salvo poi il giudice ricordarci che tutta questa libertà non c’è, atteso che siamo pur sempre in un intervento di recupero. Ma chi ci dice quanto si può modificare la sagoma e l’area di sedime di un edificio per restare nell’ambito della ristrutturazione, senza sconfinare nella nuova costruzione? La questione non è da poco perché per la nuova costruzione si deve chiedere un permesso mentre nella ristrutturazione il professionista può asseverare la conformità e dar corso direttamente all’intervento sotto la sua responsabilità con una SCIA, che sarà ordinaria per la ristrutturazione cd. leggera o alternativa al PC per quella cd. pesante (art. 10, c.1, lett. c) del TUE). Potremmo prudenzialmente ipotizzare che la modifica di sagoma e di area di sedime deve essere diretta conseguenza della trasformazione dell’organismo edilizio, anche con una risagomatura volumetrica.
La variazione di destinazione d’uso costituisce un problema mai risolto definitivamente e oggetto di un continuo rimpallo di competenze fra stato e regioni. L’art. 10 del TUE dispone che le regioni stabiliscano con legge quali mutamenti, anche senza opere, sono subordinati a permesso e quali a SCIA. L’art. 23 ter definisce poi il mutamento d’uso urbanisticamente rilevante e attribuisce alle regioni l’obbligo di adeguare la propria legislazione. La tabella A del D. Lgs. 222/2016 stabilisce che il mutamento urbanisticamente rilevante è assoggettato a permesso. In assenza di una legge regionale e nella necessità di gestire queste trasformazioni, potremmo dedurre, per il combinato disposto di quanto sopra, che i mutamenti d’uso non urbanisticamente rilevanti siano assoggettati a SCIA. Si auspica fortemente un intervento regionale per fare chiarezza, visto che nell’attuale contesto sono molto frequenti le variazioni d’uso di locali per nuove attività economiche, la cui apertura non può essere rallentata dal dubbio sul quale sia il giusto regime amministrativo.
Parliamo infine del cd. Piano Casa regionale, la legge 22/2009 e le sue modifiche. Ne è stata prorogata l’applicazione fino all’entrata in vigore della legge regionale organica per il governo del territorio e comunque non oltre il 31 dicembre 2018. Nel provvedimento di proroga è stato inserito l’art. 3 bis per promuovere l’adeguamento sismico del patrimonio edilizio regionale mediante l’incentivo costituito da un incremento delle percentuali di ampliamento sino ad un ulteriore 15 per cento, qualora si preveda anche l’adeguamento sismico della struttura portante dell’intero edificio esistente, ove non già obbligatorio per legge. Tale beneficio potrà essere di fatto utilizzato quasi esclusivamente nell’ampliamento in quanto nella demolizione e ricostruzione è già obbligatorio l’adeguamento sismico del nuovo edificio.
Concludiamo con la speranza che ognuno faccia la sua parte: lo Stato dia corso all’impegno che si è preso di emanare i decreti attuativi e la regione adegui la propria legislazione nel solco tracciato dalla normativa statale. A quel punto il Comune potrà esercitare il proprio compito regolamentare, completando in tal modo il quadro normativo necessario ai professionisti per adempiere correttamente all’esercizio di quanto delegato loro in materia di provvedimenti abilitativi edilizi.
Ribadiamo ancora una volta la necessità di una sempre più stretta collaborazione fra professionisti e la Pubblica Amministrazione, atteso che l’obiettivo non è quello che di “portare a casa” comunque un provvedimento autorizzativo, ma fornire al cittadino un titolo abilitativo legittimo e corretto che lo ponga al riparo da un sempre più frequente contenzioso (purtroppo).
di Landino Ciccarelli