
Decreto Legge 16/07/2020 n. 76 convertito, con modificazioni, dalla Legge 11/09/2020 n. 120
Anche stavolta gli incentivi economici hanno portato ad importanti modifiche del Testo Unico in materia Edilizia (TUE), ovvero il DPR n. 380 del lontano 6 giugno 2001. Nel corso di quasi un ventennio il TUE è stato oggetto di continue attenzioni da parte del legislatore, il più delle volte rintracciabili in provvedimenti di natura fiscale, a riprova dell’importanza economica dell’attività edilizia. Ora è la volta del famoso “bonus 110%” a conformare la normativa edilizia a quella fiscale, con notevoli ricadute pratiche.
Questa operazione, veicolata come semplificazione, in realtà si configura più come una radicale rivisitazione della normativa dove l’innovazione di primo impatto è costituita dal passaggio da un approccio sostanzialmente “conservativo” ad uno “sostitutivo”, nella nuova situazione per usufruire di deroghe e incentivi si deve demolire e ricostruire il fabbricato.
La “rigenerazione urbana” compare più volte nel decreto e in particolare nella nuova definizione di ristrutturazione edilizia, nel permesso di costruire in deroga, nella riduzione del contributo di costruzione e negli usi temporanei ammissibili in deroga allo strumento urbanistico. Come si vede, pur di attivare processi di rigenerazione urbana si agisce su più fronti: si spinge la definizione di ristrutturazione fino alla realizzazione di un nuovo edificio, si ipotizza il rilascio di un permesso in deroga allo strumento urbanistico individuando nella rigenerazione l’interesse pubblico, si riduce fortemente il contributo di costruzione e si introduce persino la possibilità di autorizzare usi temporanei non previsti dallo strumento urbanistico.
Ma cos’è la rigenerazione urbana? Anche se ne possiamo ipotizzare il significato, non troviamo la corrispondente definizione nella normativa, come invece avviene per tutti gli altri interventi edilizi (manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia ed urbanistica). In attesa che venga colmato questo vuoto possiamo ipotizzare che si tratti di una sorta di ristrutturazione urbanistica intesa come un insieme di azioni volte al recupero e alla riqualificazione di uno spazio urbano tramite interventi di recupero a livello di infrastrutture e servizi, limitando il consumo di territorio a tutela della sostenibilità ambientale, con miglioramenti nella qualità della vita e nella sfera sociale, economica e ambientale. E’ fortemente auspicabile dotare il TUE anche di questa definizione perché sappiamo bene che l’interpretabilità della norma spesso ne paralizza o limita l’applicazione, di fatto vanificando l’innovazione.
In sostanza il decreto si pone l’obiettivo di spingere al massimo il riutilizzo del patrimonio edilizio esistente attraverso modifiche, deroghe e incentivi. Queste tre parole danno il senso dell’operazione, nel senso che non si è operata una riscrittura organica del testo unico, ma una serie di rattoppi su un vestito vecchio già tante volte rattoppato, del quale si intravede solamente la struttura originaria.
Assistiamo in questi giorni ad un cittadino che vede un forte messaggio mediatico di semplificazione e di incentivi fiscali e dall’altro gli operatori che, passata una prima fase di esclusiva attenzione fiscale, ora cominciano a fare i conti con quella tecnica, per la verità ora di non facile lettura.
Detto questo, al fine di fornire risposte all’utenza alla luce del mutato quadro normativo, sia come professionisti privati che come pubblica amministrazione, passiamo ad esaminare le principali modifiche al TUE operate dal decreto semplificazione, preso atto che la demolizione e ricostruzione di un edificio è quasi sempre condizione per l’applicazione delle deroghe ed incentivi previsti.
Nell’art. 2 bis, al comma 1 ter si deroga ai limiti di distanza tra fabbricati nel caso di sopraelevazione dell’edificio ricostruito sul limite del preesistente profilo perimetrale esterno del vecchio edificio, attuando pertanto una densificazione in altezza, entro i limiti di quella massima ammessa, anche nel caso di fronteggiamento con altri fabbricati.
Nell’art. 3, relativo alla definizione degli interventi edilizi, troviamo due modifiche, di cui una relativa alla Manutenzione Straordinaria (MS) con conseguenze pratiche alquanto modeste e l’altra, decisamente più rilevante, sulla Ristrutturazione Edilizia (RE).
Sulla MS viene introdotta la variazione di destinazione d’uso, purché non comportante incremento del carico urbanistico, e la modifica dei prospetti solo se finalizzata all’agibilità ed accessibilità dell’edificio e senza pregiudizio per il decoro dello stesso. Per ciò che riguarda invece la ristrutturazione edilizia è stato fatto un grande salto in avanti, ricomprendendo in questo intervento anche incrementi volumetrici e modifiche di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche… quindi tutto!
In sostanza qualsiasi intervento di demolizione ricostruzione di un edificio esistente viene classificato come RE, fatta eccezione per gli immobili sottoposti a tutela dal Codice dei beni culturali e del paesaggio e di quelli ubicati nelle zone A (centri storici e zone a questi assimilabili).
Questa modifica sgombra il campo dalle tante problematiche sorte in passato, soprattutto a livello fiscale, dove gli incrementi volumetrici e di sagoma venivano ricondotti alla nuova costruzione. Naturalmente gli ampliamenti devono rientrare nelle previsioni dello strumento urbanistico, mentre per il rispetto delle distanze sugli ampliamenti di sagoma valgono le considerazioni sopra svolte nell’esame dell’articolo 2 bis.
In sostanza la nuova definizione di RE impatta più a livello fiscale che sostanziale, considerato che sotto il profilo tecnico qualsiasi ampliamento deve rispettare le previsioni di PRG. Problemi potrebbero sorgere, a seguito della continua modifica della definizione della RE, in fase di applicazione dei vari strumenti urbanistici o di provvedimenti legislativi, specialmente quelli più datati, dove la ristrutturazione edilizia figura fra gli interventi ammessi senza una specifica definizione.
Nel caso della modifica all’art. 3 risulta evidente il limite costituito dall’operare con numerose modifiche puntuali senza una riscrittura organica dell’intero testo: l’ampliamento di sagoma, oggi inserito nella RE, figura anche nella definizione della nuova costruzione, non oggetto di modifica, con la conseguenza che non risulta chiaro a quale dei due interventi ricondurre questa modifica, cosa non di poco conto! A questo proposito si potrebbe azzardare la seguente interpretazione: l’ampliamento di sagoma conseguente ad una demolizione e ricostruzione è una RE mentre nel caso di semplice aggiunta ad un edificio esistente è una nuova costruzione. E’ solo una ipotesi.
Nelle aree sottoposte a tutela e nelle zone A la demolizione e ricostruzione rientra nella RE solo con ricostruzione totalmente fedele, problema da affrontare con singoli piani di recupero.
L’art. 6, relativo all’attività edilizia libera, è stato innovato con l’introduzione delle opere stagionali e con l’aumento a 180 giorni (dai 90 precedenti) del limite delle opere temporanee. Sono novità abbastanza importanti, giova però ribadire che queste attività sono libere solo dal titolo abilitativo edilizio e sono fatte salve tutte le pertinenti norme di carattere edilizio ed urbanistico.
Nell’art. 9 bis, comma 1 bis, si affronta la spinosa questione dello stato legittimo di un immobile con la possibilità di far riferimento al titolo che ha legittimato l’ultimo intervento edilizio nonché alle informazioni catastali di primo impianto e ad altri documenti probatori, estendendo tali possibilità ai casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale sussista un principio di prova… in pratica quando non si trova più la pratica edilizia!
Questo dello stato legittimo di un edificio merita un approfondimento ed è all’origine della problematica questione dell’accesso agli atti.
Nell’art. 10, relativo agli interventi subordinati a permesso di costruire, si interviene ancora sulla ristrutturazione edilizia, facendo rientrare nel campo di applicazione del permesso, anziché della SCIA, la sola ristrutturazione con modifica alla volumetria complessiva dell’edificio, fatti salvi gli interventi nelle zone A e in quelle sottoposte a tutela dove la modifica di destinazione e/o di sagoma sono elementi per rientrare in tale casistica.
E’ necessario quindi rivedere il doppio concetto di “ristrutturazione pesante” e “ristrutturazione leggera” che, ancorché non scritto, di fatto determina il doppio binario del titolo abilitativo edilizio con le relative conseguenze.
Nell’art. 14 si amplia il campo di azione del permesso in deroga alla ristrutturazione edilizia per finalità di rigenerazione urbana, contenimento del consumo di suolo e di recupero sociale e urbano individuando in tali finalità l’interesse pubblico.
Anche qui la rigenerazione urbana costituisce il grimaldello per forzare gli strumenti urbanistici, previa favorevole valutazione del Consiglio Comunale.
Nell’art. 17 si parla ancora di rigenerazione urbana, insieme ad altri interventi di recupero (anche la decarbonizzazione) questa volta per ridurne il contributo di costruzione.
Nell’art. 22 la modifica consiste nel fatto che è richiesta la SCIA nella manutenzione straordinaria “non strutturale” nel caso di modifica dei prospetti, limitata ai casi accennati nell’esame dell’art. 3.
L’art. 23 quater, di nuova formulazione, introduce una novità in campo edilizio: gli usi temporanei. Qualcosa di simile era stato introdotto dall’art. 9 della Legge Regionale n. 17/2015, del quale la Corte Costituzionale ne aveva dichiarato nel dicembre 2016 l’illegittimità costituzionale.
Con questa norma si torna a spingere sulla rigenerazione urbana, con possibilità di autorizzare usi non previsti dallo strumento urbanistico purché inseriti in interventi di rilevante interesse pubblico o generale con obiettivi urbanistici, socio-economici ed ambientali.
Anche qui si rimanda al Consiglio Comunale la fissazione dei criteri da inserire in una apposita convenzione che regoli i limiti dell’uso temporaneo.
L’art. 24 di fatto si sovrappone all’art. 17 della L.R. n. 17/2015 e consiste nella possibilità della segnalazione certificata di agibilità anche in assenza di intervento edilizio. Questo va incontro alle difficoltà che si incontrano nella gestione di vecchi edifici privi dell’attestazione di abitabilità ma non per questo inagibili. Nella modifica si stabilisce che entro novanta giorni verrà emanato un decreto ministeriale con i requisiti per l’agibilità in assenza di lavori; speriamo non si ripeta l’annoso ritardo nella emanazione dei decreti attuativi della norma, in quanto l’agibilità spesso costituisce un documento essenziale per la commerciabilità del bene o per accedere a finanziamenti. Fino all’emanazione del decreto ministeriale si può comunque far riferimento alla sopra citata norma regionale che rimanda ai due decreti ministeriali del 1985.
Ultimo, ma certamente non per importanza delle ricadute concrete sull’attività edilizia, l’art. 34 bis sulle tolleranze esecutive, con abrogazione dell’ultimo comma dell’art. 34 (quello relativo alla tolleranza del 2%), ripreso nel primo comma del nuovo 34 bis.
Anche questo articolo si sovrappone alla pressoché analoga norma regionale dell’art. 9 bis della L.R. n. 17/2015, introdotta successivamente all’emanazione della legge per disciplinare le parziali difformità che si riscontrano su edifici che sono stati oggetto in passato di interventi edilizi regolarmente autorizzati e dichiarati agibili con sopralluogo e certificazione di abitabilità.
Nella nuova disposizione del TUE, oltre alla conferma della conosciuta tolleranza del 2%, se ne introduce una ulteriore costituita da irregolarità geometriche di minima entità e opere interne eseguite nell’attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non si pongano in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l’agibilità dell’immobile.
Le tolleranze “regionali” e quelle “nazionali” hanno in comune l’attuazione di un titolo abilitativo, sono pertanto tollerabili le difformità (parziali o di minima entità) rispetto ad un titolo abilitativo e non le modifiche apportate ad un edificio in assenza di un titolo, per le quali si applica l’ordinario regime sanzionatorio del TUE.
Le suddette tolleranze esecutive non costituiscono violazione edilizia per espressa disposizione normativa del nuovo articolo 34 bis e possono essere dichiarate sia in fase di presentazione di un nuovo titolo abilitativo che in fase di compravendita dell’immobile. Quest’ultima disposizione fa chiarezza nel caso ci si trovi nella necessità di far emergere le difformità in sede di trasferimento dell’immobile senza dover obbligatoriamente passare attraverso una nuova pratica edilizia.
Purtroppo le irregolarità geometriche di minima entità della normativa nazionale e le parziali difformità di quella regionale in materia di tolleranze non trovano una corrispondente definizione nel TUE e si prestano a molteplici e diverse interpretazioni.
L’applicazione di questo articolo può costituire davvero una importante semplificazione per sanare le modeste difformità rispetto a progetti regolarmente autorizzati risalenti a tempi in cui di fatto si tollerava ciò che oggi non si tollera più e dove addirittura tali difformità venivano avallate con un sopralluogo ed il rilascio di un certificato di abitabilità.
Se pienamente applicata la normativa sulle tolleranze può rappresentare un utile strumento di semplificazione.
Le novità in materia edilizia non finiscono qui, sono state prese in esame quelle più impattanti sull’attività degli operatori del settore; le considerazioni svolte rappresentano una prima lettura, sicuramente non esaustiva. Si auspica possa costituire la base per ulteriori approfondimenti al fine di condividere linee guida applicative.
Landino Ciccarelli